Lo “Squacquerone di Romagna” (“Squaquaron” in dialetto) è un formaggio fresco dalle origini antiche, tipico dell’ambiente rurale, dove era consuetudine produrlo e consumarlo durante il periodo invernale (grazie alla possibilità di conservarlo al fresco per alcuni giorni).
E’ un formaggio da tavola a pasta molle, ottenuto da latte intero vaccino proveniente esclusivamente da allevamenti situati nell’area tipica di produzione. Si presenta privo di crosta e di colore bianco madreperla ceo, caratteristiche fondamentali per riconoscere l’autenticità del prodotto.
Il tartufo bianco è il più prezioso fra i cosiddetti funghi ipogei (sotterranei) a cui da sempre sono attribuite qualità particolari, tra le quali l’essere un prodotto afrodisiaco e dono degli dei, tanto che il poeta Giovenale sosteneva che il “Tuber Terrae” fosse nato da un fulmine scagliato da Giove in prossimità di una quercia.
Con il sopraggiungere dell’autunno (da ottobre a dicembre) frotte di ricercatori partono alla ricerca del prezioso frutto, celebrato in numerose sagre e fiere del territorio.
Nell’Appennino Romagnolo si raccoglie questo tipo di tartufo che, a dif ferenza di quello nero, non entra in sintonia con gli altri ingredienti della ricetta, ma li domina con il suo aroma.
La corretta maturazione non si deduce dal colore, che dipende dall’albero con cui convive, ma dal disegno dell’interno, che deve mostrare venature differenziate in maniera netta.
La Romagnola è una razza bovina tipica della Romagna.
Peculiari sono le caratteristiche di allevamento e alimentazione di questi animali, oggi presidio di “Slow Food”.
Molto praticato è l’allevamento al pascolo “estensivo” che si protrae per almeno sei mesi all’anno; inoltre, i vitelli sono allevati con le madri fino al compimento del quinto/sesto mese e poi avviati alle stalle attrezzate per l’ingrasso.
Particolare attenzione riveste l’alimentazione con la quale vengono allevati gli animali: fieno, favino, mais, orzo e crusca garantiscono una eccellente qualità delle carni derivate da vitelloni (maschi) e scottone (femmine), che si presentano magre e a basso contenuto di colesterolo.
La Mora Romagnola è una pregiata razza suina autoctona della terra di Romagna, originaria delle zone di Ravenna, Forlì e Cesena.
Ne esistevano inizialmente tre varianti: la forlivese, la più pregiata (manto nero con chiazze chiare), la faentina (manto rosso chiaro) e la riminese (manto rosso e testa bianca).
Questa carne si distingue per il sapore più selvatico e speziato, quasi riconducibile a quello del cinghiale, ed è particolarmente adatta alla produzione di salumi di pregio come il culatello, la spalla cruda, gli arrosti, grigliate e le braciole.
Le carni tipiche cucinate nelle vallate romagnole sono gli umidi, gli arrosti di pollo, di coniglio, di agnello o maiale.
Molto apprezzate anche le pietanze a base di cacciagione: lepri, uccelli a carne bianca (fagiano, starna o pernice grigia) e quelli a carne nera (beccaccia, tordo, quaglia e colombaccio).
Tra le carni di cacciagione, cucinate soprattutto in autunno e in inverno, meritano una menzione particolare il cinghiale e la lepre. Anche la carne di maiale è spesso protagonista della tavola romagnola: una fiorente industria di insaccati produce salami squisiti, prosciutti dal gusto forte e stagionato, così come coppe profumate, cotechini e pancette.
Il castrato è una carne fresca ottenuta da ovini maschi sottoposti al processo di castrazione, purché aventi peso ed età idonei.
Viene tradizionalmente prodotto partendo da soggetti maschi di razze specializzate da carne o derivate da incroci finalizzati alla produzione di carne.
Oltre all’allevamento al pascolo, il castrato viene allevato in stalla o nell’ovile.
Le castagne hanno sempre avuto una grande importanza nell’economia contadina.
Ereditata forse dall’epoca di dominazione romana, la coltivazione di questi frutti autunnali ha avuto un notevole sviluppo e per secoli le castagne hanno sfamato gli abitanti di questo territorio appenninico ricco di boschi e sorgenti termali.
I marroni (le castagne più grosse e dolci) vengono consumati bolliti o arrostiti sulla brace, mentre i più piccoli vengono generalmente essiccati; dopo un’ulteriore lavorazione, si ottiene una farina dolce con la quale si fanno polente e dolci.
La raccolta avviene generalmente verso la fine di settembre.
I boschi sulle colline, nelle Foreste Casentinesi e su tutta la dorsale appenninica, tra Toscana e Romagna, offrono un habitat climatico ed un sottobosco ideale per la crescita di funghi.
Una delle varietà più diffuse ed apprezzate è il fungo porcino, che si presenta carnoso, finemente profumato e dotato di persistenza gustativa.
Altre pregevoli qualità sono il prugnolo, i galletti, i prataioli (sodi di consistenza ed ottimi trifolati) e gli ovoli (gustosissimi crudi in insalata, sulla griglia o anche in padella col burro).
Comuni sono i chiodini (ottima base per la preparazione di sughi), i finferli e le mazze da tamburi.
L’ apicoltura in Romagna viene praticata sia in modo hobbistico che in modo professionale con lo scopo di produrre miele, pappa reale, polline, propoli, cera d’api e api regine.
Il miele si produce nel periodo primaverile estivo e le maggiori varietà sono: acacia, millefiori, medica, sulla, tiglio, castagno, miele di bosco, melata di abete.
Fra i poliflora si produce un millefiori sul campo. Numerose aziende agricole e agrituristiche producono e vendono direttamente confetture di miele.
Le particolari condizioni climatiche di quest’area consentono di produrre un olio d’oliva particolarmente pregiato, dalle eccellenti caratteristiche chimiche e organolettiche.
È leggero, piacevole al gusto, con un sapore leggermente amarognolo e aromatico, ottenuto mescolando i frutti di diverse varietà di olivo: Correggiolo (minimo 60%), Leccino (ma ssimo 30%) e in misura minore (circa il 10%) Pendolino, Moraiolo e Rossina.
La raccolta delle olive (la cui coltivazione sui colli di questa parte di Romagna ha origini molto antiche, risalenti agli Etruschi) viene effettuata manualmente ogni anno durante il periodo autunnale (metà ottobre – metà dicembre).
Dopo un processo di defogliazione e lavaggio, nei giorni successivi si passa all’estrazione esclusivamente attraverso procedimenti fisici e meccanici. L’olio extra-vergine di oliva ha da poco ottenuto la Denominazione di Origine Protetta (DOP) “Colline di Romagna”. In cucina, è ottimo sia a crudo sia in cottura.
Dal 10 marzo 2011, il pane di Cast rocaro è stato inserito nell’Elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali.
Dopo 125 anni la ricetta a base di acqua di Castrocaro, farina di grano locale, pizzico di sale e lievito, uniti alla maestria dei panificatori locali, consente ancora oggi di sfornare ogni giorno il rinomato Castrocarino o Pane di Castrocaro.
Il Raviggiolo è un formaggio fresco a pasta bianca ottenuto dalla cagliatura senza rottura di latte vaccino crudo di produzione aziendale; si presenta in forme rotondeggianti; la sua consistenza è tenera e dal sapore delicato e leggermente burroso.
È così dolce e fresco che può essere consumato anche come fuori pasto, magari a colazione o come spuntino pomeridiano.
Proprio per le sue caratteristiche delicate è ottimo se accompagnato a vini leggeri, leggermente frizzanti e vagamente profumati. La sua conservabilità è limitata a pochi giorni.
È un prodotto a Presidio “Slow Food”.
La Saba, o Sapa, di Romagna è uno sciroppo dolce di colore bruno.
Viene abbinato a molte pietanze come ceci, fagioli, castagne e paste ripiene ma anche ravioli e tortelli, frutta, verdura, pane e polenta.
Il Savor è una conserva dolce fatta in casa tipica della tradizione contadina romagnola, legata ad antiche usanze rurali, preparata nel periodo appena successivo alla vendemmia.
Essendo un alimento molto calorico, era consumato nei periodi invernali, da settembre a primavera, quando erano necessarie significative energie per lavorare nei campi e resistere al freddo. L’ingrediente base è la “saba” o mosto concentrato, lungamente cotto e ristretto, al quale si amalgamano molti frutti diversi; come un tempo, lo si gusta accompagnato a merende, dolci o antipasti.
Questa è una pietanza che è scomparsa dalle nostre tavole da parecchi decenni e di cui ormai se ne è persa la memoria.
Si preparava un impasto composto da farina bianca, farina gialla e acqua calda (la farina gialla doveva essere sempre in quantità doppia rispetto alla bianca). Si prendeva un pezzetto alla volta dell’impasto ottenuto e lo si lavorava con il mattarello fino a farlo diventare una piadina di grosso spessore e la si tagliava a quadretti di piccole dimensioni.
Questi quadretti venivano messi a bollire in acqua per circa tre quarti d’ora. Dieci minuti prima di togliere la minestra dal fuoco vi si buttava dentro un ragù coi fagioli preparato in precedenza. Il ragù era composto di un battuto d’aglio e cipolla, di qualche fetta di pancetta tagliata a fettine, di pomodori maturi e di fagioli.
Anche questa è una minestra che attualmente conosce l’oblio. Si preparava con farina bianca, uova, acqua e sale.
Si tirava una sfoglia sottile, come per le tagliatelle che veniva tagliata a quadretti di circa 3 cm di lato.
A parte si faceva soffriggere olio, aglio e prezzemolo tritato al quale si aggiungeva una passata di pomodoro, sale, pepe.
Le toppe cotte in acqua bollente e scolate venivano condite con questo ragù, pane secco e grana grattugiati.
Per preparare questa antica minestra romagnola si mescolavano i seguenti ingredienti: uova sbattute, pane, parmigiano, sale e noce moscata.
L’impasto ottenuto veniva versato in un brodo di carne mescolandolo continuamente per qualche minuto. La minestra era pronta quando cominciava a raggrumarsi poi veniva servita ben calda.
Per ottenere i maltagliati si preparava una sfoglia con uova e farina, la si stendeva molto sottile e si tagliavano delle tagliatelle che andavano ritagliate trasversalmente in modo da ottenere dei pezzi di pasta di forma irregolare.Nel frattempo si preparava un soffritto con cipolla, aglio, carote, sedano tritati e un po’ di olio.
Quando questi ingredienti erano ben rosolati si univano i fagioli (messi a bagno in acqua calda la sera p rima) e acqua salata.
Si lasciavano bollire i fagioli a fuoco lento, aggiungendo man mano acqua, se necessaria. Nel momento in cui i fagioli erano ben cotti si univano i maltagliati che si cuocevano in pochi minuti.
Il piatto andava completato con un filo di olio crudo e pepe.
La polenta era l’alimento principale della dieta delle classi povere di un tempo.
Si metteva in un paiolo acqua e sale, quando l’acqua era prossima a bollire si versava la farina gialla e si mescolava il tutto con un bastone per circa un’ora.
Passata l’ora, il contenuto del paiolo veniva versato sul tagliere dove la polenta veniva tagliata a fette con un filo di cotone.
La polenta era mangiata anche con aglio e cipolla o con un ragù composto da pomodoro, cipolla e pancetta tritata, in altri casi si mangiava fritta o arrostita.
La ciambella è il dolce più comune in Romagna, infatti non c’è pranzo o spuntino che non si concluda con una fetta di ciambella inzuppata in un bicchiere di Albana.
Occorrevano per confezionarla i seguenti ingredienti: farina, zucchero, burro, margarina , strutto, uova, lievito per dolci ed una scorza di limone da grattugiare.
Si impastavano la farina con il burro, la margarina, lo strutto, le uova fino ad ottenere un impasto consistente.
Il lievito ed il limone grattugiato venivano messi poco prima di finire d’impastare.
Si imburrava uno stampo e vi si sistemava la ciambella e la si poneva nel forno per circa mezz’ora.
Questi biscotti posso no essere conservati molto a lungo ed erano confezionati con mandorle tostate ed impastate con farina, miele ed albume montato a neve.
Quando l’impasto era pronto si imburrava uno stampo da forno e vi si disponeva il composto ottenuto a cucchiaiate.
Si metteva lo stampo in forno moderatamente caldo per circa mezz’ora.
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